Charles Bukowski guardava un gatto quando si sentiva giù, e Kerouac amava talmente il suo Tike da inserirlo nel suo romanzo più celebre, “Big Sur”. Il “Gatto nero” di E. A. Poe era modellato sulla sua micia Cattarina, Neruda dedicò al gatto un’ode e Torquato Tasso un sonetto. Hemingway era un vero e proprio gattaro, e Céline non si separò mai dal suo Bébert durante i suoi pericolosi viaggi.
Quello fra gatti e scrittori è quindi un amore solido e duraturo, cui non sfugge Francesco Renzo Roveti, poeta di casa nostra che, come un novello Thomas S. Elliot – dai cui versi è tratto il musical “Cats” – si diverte a inventariare in rima baciata il variegato mondo felino che lo circonda.
Prendono così vita gatti alle prese con il collare elisabettiano, gatti tristi e gatti in vacanza, gatti che vanno a caccia, gatti che fanno yoga, gatti che, poverini, devono mettersi a dieta, e la poesia è il solo linguaggio in grado di rendere giustizia a questo animale così straordinario e mutevole.
Questi gatti unici invitano il lettore a vedere il mondo da un’altra prospettiva; più umana, paradossalmente. Parola di gatto.